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Un tempio egizio a Pergamo: il Serapeum

«All’angelo della chiesa che è a Pergamo scrivi: “Così parla Colui che ha la spada affilata a due tagli. So che abiti dove Satana ha il suo trono…”», questo l’inizio della lettera di San Giovanni alla chiesa di Pergamo nell’Apocalisse. 

Il trono di Satana? Per tanti esperti sarebbe il famoso altare dedicato a Zeus, il cui fregio decorativo si può ammirare nel museo di Pergamo a Berlino. A Pergamo (attualmente Bergama), invece, si può vedere, in tutta la sua imponenza, la sua base ancora nella posizione originale. 

Ma l’altare di Zeus non è l’unica costruzione monumentale di Pergamo: nella città bassa ‒ appena si scende dall’acropoli ‒ si incontra un altro imponente edificio, conosciuto in turco con il nome di Kızıl Avlu (il cortile rosso). Infatti, è un edifico di colore rosso, impressionante per l’altezza delle pareti e non avendo più una porta d’ingresso, sembra appunto un cortile di colore rosso: è il più grande tempio egizio fuori dall’Egitto. Trasformato in chiesa nel periodo bizantino (probabilmente dedicata a San Giovanni) è diventato il centro di interesse per coloro che vogliono vedere in concreto la «Chiesa di Pergamo» dell’Apocalisse, ignorando però che in realtà ci si riferiva più alla comunità cristiana della città, piuttosto che ad una chiesa in muratura. 

In origine il tempio fu costruito durante il regno dell’imperatore Adriano e alcuni storici hanno avanzato una ipotesi sul motivo: questo edificio fu l’esito di una lotta di potere e supremazia. Vediamone il perché. 

Pergamo fu la prima città in Asia Minore che fece alleanza con Roma e di conseguenza godette tante esenzioni e privilegi. Quando però Efeso cominciò a superare la privilegiata Pergamo (sicuramente per il suo porto molto efficiente), i pergameni chiesero ad Adriano il permesso di costruire un tempio in suo onore, cosa che invece l’imperatore concesse a Efeso.
Avendo perciò Adriano rifiutato il tempio a Pergamo, dicendo che lì sarebbe stato sufficiente mettere una sua statua vicino a suo «padre» nel famoso tempio di Traiano, i pergameni fecero una mossa astuta per non perdere la competizione contro Efeso, costruendo un tempio gigantesco dedicato alle divinità egizie, per cui Adriano aveva una profonda simpatia.
Il tempio ospitava numerose statue di diverse divinità, ma era probabilmente dedicato a Serapide e ad Iside. Serapide è una divinità interessante: il suo culto fu introdotto per la prima volta ad Alessandria d’Egitto da Tolomeo I, il re di una città cosmopolita, per cui volle creare un nuovo culto eclettico che potesse accontentare le diverse esigenze religiose delle varie etnie che lì coabitavano. Questa divinità veniva raffigurata come Zeus barbuto, con un recipiente sulla testa – un moggio ‒ che serviva a misurare il grano. Ai suoi piedi si trovava Cerbero (il famoso cane con tre teste), che ricordava il dominio sull’inferno e aveva pure attributi legati ad Esculapio, tanto che veniva venerato anche come dio guaritore. Il culto di Serapide poi, si diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo e quindi anche presso i popoli greco-romani. 

Facciamo un passo indietro sull’origine del nome: ci sono diverse ipotesi, ma Plutarco suggerisce che questo dio provenisse da Sinope in Turchia. In questa città sul Mar Nero, infatti, sarebbe esistito un culto mesopotamico di Ea, conosciuto con il titolo di Sar-Apsi (Signore degli abissi). L’assomiglianza dei nomi Sarapsi e Osorapi (altra divinità creata mettendo insieme Osiris e Apis) avrebbe spinto Tolomeo alla scelta di questo dio.
La superficie totale del complesso «Serapeum» è di 100 m x 265 m, mentre il tempio stesso è 60 m x 26 m, con le pareti alte più di 20 m. Sotto il tempio passa il fiume Selinus (oggi Bergama çayı), diviso in due tunnel lunghi 200 m, formati da una doppia volta a ponte romano, forse con riferimento al Nilo. Il tempio è affiancato sugli angoli orientali da due edifici rotondi, la cui funzione è sconosciuta (probabilmente servivano anch’essi per scopi religiosi). Quello a nord oggi è utilizzato come moschea. L’architettura ‒ molto insolita per l’Asia Minore ‒ e l’uso di mattoni rossi in terracotta, fanno pensare che l’architetto fosse venuto da Roma. Tutte le pareti dell’edificio, sia quelle interne che quelle esterne, erano rivestite di marmo di diversi colori. Al centro dell’edificio, si nota una rientranza di 1,5 m e profonda 1,35 m, destinata ad accogliere una statua monumentale di culto, l’altezza della quale è stimata tra i 10 e i 20 m. Questa rientranza è accessibile da una scala situata a nord del podio, il che fa pensare che la statua fosse raggiungibile e che i sacerdoti parlassero alla comunità a nome della divinità. 

Durante la trasformazione del monumento in chiesa cristiana, il piano terra fu rialzato di due metri e mezzo per costruire un edificio a tre navate. La larghezza delle navate laterali era un terzo di quella centrale. La chiesa, che rimase in parte distrutta da un incendio già in epoca cristiana, fu totalmente abbandonata dopo le incursioni arabe. 

Nell’atrio meridionale ‒ vicino a quelle originali in rovina ‒ si vede una statua perfettamente riprodotta di un’altra divinità egizia: Sekhmet, la divinità della guerra e delle epidemie. Veniva rappresentata come una donna dalla testa di leonessa, la belva più feroce nell’immaginario egizio. Sekhmet, il nome della quale deriva dalla parola sekhem (potenza) nel suo mito viene inviata sulla terra da parte di suo padre Ra in missione per distruggere gli uomini. Al termine della guerra, la sete di sangue della dea però non era ancora saziata e così Ra, temendo che l’istinto della figlia portasse alla distruzione totale dell’umanità, fece un piano per porre freno alla strage: tinse della birra con ocra rossa ed ematite perché sembrasse sangue, e lasciò che la dea si ubriacasse con questa bevanda. Alla fine, Sekhmet ubriaca placò la sua ira e tornò brilla da Ra. In realtà le statue di Sekhmet erano cariatidi che servivano a sostenere il tetto del tempio. 

Sempre nell’atrio si possono vedere alcuni elementi architettonici della chiesa costruita dentro il tempio e le iscrizioni in ebraico, trovate durante gli scavi fatti nel quartiere ebraico, sono importanti testimonianze della presenza anche di una comunità ebraica.
Trovare iscrizioni sia in ebraico che in arabo accanto a croci su capitelli in un tempio egizio è un magnifico segno di una convivenza possibile e di una sovrapposizione di diverse culture nel tempo. Già solo per questo il Serapeum – la «Basilica Rossa» ‒ rimasto all’ombra dell’Acropoli e dell’Aslepieion di Pergamo merita di sicuro una visita dettagliata.