Antuan Ilgit SJ
Dietro alla Sua Provvidenza...

Era il lontano 1990, quando a 18 anni ho lasciato per la prima volta la mia città, Mersin, nell’antica Cilicia. Era la mezzanotte di un giorno di settembre e piovigginava. Mio papà, un pescatore, mia mamma, una casalinga e mia sorellina, con le lacrime agli occhi mi salutavano. Partivo per la capitale, Ankara, dove avrei iniziato l’università sognando di diventare un Kaymakam (sottoprefetto) o un accademico. Le mie aspirazioni erano diventate il sogno dei miei. Il Mercedes Benz 0303 era un bus di lusso all’epoca. Avevo prenotato settimane prima il sedile numero 4 per poter vedere meglio le strade, i Tauri e la vasta pianura anatolica.

Era l’inizio di un lungo viaggio che, rileggendolo successivamente alla luce di Cristo con l’aiuto degli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio, ho accostato all’invito di Dio ad Abram: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò» (Gen 12,1-2).

Quando il pullman fece la sua prima sosta a Tarso, a 25 km da Mersin, per far salire altri passeggeri, prevalentemente studenti come me, non conoscevo ancora nulla di San Paolo di Tarso, delle sue aspirazioni, dei suoi sogni, della sua esperienza sulla via di Damasco e dei suoi viaggi dietro lo Spirito di Cristo risorto. E non sapevo nemmeno che lo stesso Spirito stava organizzando altrettanto viaggi per me…

Il Signore entrò nella mia Galilea a Istanbul, dove stavo facendo un tirocinio nella società anonima Abana Elettromeccanico. Nella Chiesa di Sant’Antonio mi «accecò» ‒ se posso usare l’espressione ‒ con la sua luce, per poi riaprirmi gli occhi prima in Emilia, tra i frati cappuccini, poi a Bologna, nella Casa di Esercizi dei padri gesuiti, Villa San Giuseppe. Paolo Bizzeti, conosciuto da tutti come «il Biz», aveva chiamato «Sulla via di Damasco» la casetta che si trovava nel grande giardino della Villa, dove accompagnava i giovani in discernimento vocazionale.

Quando entrai dal cancello della Villa, attraversando i portici che portano al Santuario di San Luca, non potevo sapere che un giorno sarei diventato un suo compagno nell’amata Compagnia di Gesù, poi il suo Vicario Generale nella mia terra d’origine, e poi, oggi, il suo Vescovo Ausiliare nel Vicariato Apostolico dell’Anatolia. Come, a sua volta, nemmeno lui poteva immaginare che un giorno sarebbe stato chiamato a servire la Chiesa di Turchia come Vescovo. Per questo, ripeto sempre ai giovani che facilmente si fermano davanti al primo ostacolo: «non mettete mai limiti alla Divina Provvidenza», perché «le sue vie sovrastano le vostre vie, i suoi pensieri sovrastano i vostri pensieri» (Is 55,9). Gesuiti tutti e due, siamo stati chiamati in diversi momenti a servire lo stesso Vicariato come Vescovi da Papa Francesco, un altro gesuita!

Stavo facendo i miei Esercizi spirituali annuali a Malta nell’agosto 2023, quando chi di dovere si è messo in contatto con me: «Il Santo Padre ti ha nominato Vescovo Ausiliare per il Vicariato dell’Anatolia. Lo accetti?». Silenzio. In un breve lasso di tempo sono ritornato con la mente ad Ankara, nella Chiesa dei Gesuiti, dove nel 2010 avevo celebrato la mia prima messa in turco e dove il 19 novembre 2022 avevo professato i miei quattro voti solenni… quel tanto desiderato quarto voto: «Inoltre, prometto un’obbedienza speciale al Sommo Pontefice circa le missioni».

La Chiesa dove avevo professato i voti è piccola, una cappella. Quel giorno c’erano tutti i Vescovi latini di Turchia, giovani e fedeli che provenivano dall’Anatolia, Smirne e Istanbul, cristiani autoctoni, neofiti, catecumeni, studenti africani e rifugiati cristiani… Insomma, tutta la Chiesa di Turchia. Ecco, è per quel quarto voto e per quella piccola ma «ricca» Chiesa di Turchia che ho risposto: «Sì, lo accetto».

Dopo quel primo bus che mi portò da Mersin ad Ankara, sono salito su tanti altri mezzi per andare dalla Turchia all’Italia, dagli Stati Uniti alla Spagna, dove l’obbedienza mi ha inviato per essere meglio formato come sacerdote gesuita. E dopo quella prima laurea conseguita in Pubblica amministrazione, ne ho conseguite altre per poi insegnare la Teologia morale e la Bioetica in quella «Quanto si’ bella, Napule!», dove la Provvidenza mi ha chiesto di formare i giovani seminaristi campani, che mi hanno ribattezzato un gesuita «turco-napoletano».

Se il 5 febbraio 2018 non avessi fatto l’interprete ufficiale del Santo Padre nell’incontro con il nostro Presidente Recep Tayyip Erdoğan, forse sarei ancora a Napoli a tenere dei corsi di dialogo interreligioso sull’islam a partire delle questioni di bioetica e a formare i giovani seminaristi. Invece, dopo quell’incontro, la Provvidenza ha tracciato un nuovo viaggio per me, questa volta a ritroso, verso la mia terra. Infatti, subito dopo aver terminato la terza probazione a Salamanca, nel 2021, sono stato inviato in Turchia.

Mons. Luigi Padovese, che amava definire Turchia la «Terra santa della Chiesa», in occasione della mia ordinazione sacerdotale a Roma, mi aveva scritto le seguenti parole, che da allora in poi hanno sempre animato il mio profondo desiderio di servire un giorno la Chiesa di Turchia: «Sei un dono per la nostra Chiesa di Turchia; sei un dono prezioso. Ora dai quello che hai ricevuto: pace, consolazione, speranza, carità». Era la Pentecoste del 2010.

L’accoglienza che ho trovato in questi due anni di umile servizio al Vicariato di Anatolia e il venire incontro alle nostre esigenze da parte delle autorità mi danno molta speranza per poter essere davvero un ponte tra il mio paese e la Chiesa. In effetti, la foto qui sopra, che immortala quel memorabile incontro, per me rappresenta proprio questo.

Quanto al nuovo servizio che il Santo Padre con grande fiducia ‒ non solo in me, ma in tutti i fedeli turchi della Chiesa di Turchia ‒ mi ha chiesto di svolgere, devo dire che mi piace molto il significato del termine «ausiliare». Il vocabolario Treccani dice: «chi è d’aiuto, chi coadiuva qualcuno nelle sue funzioni». È quello a cui sono chiamato ora dalla Santa Madre Chiesa: aiutare il nostro Vescovo Paolo nel suo governo pastorale, partecipando alla sua sollecitudine in modo da procedere insieme con lui di comune accordo. Come un modo di dire turco insegna saggiamente: Bir elin nesi var, iki elin sesi var, ossia «Una mano non produce nulla, ma due mani fanno un bel suono!». Con l’aiuto di Dio, da Vescovo Ausiliare cercherò di essere d’aiuto per l’intera Chiesa di Turchia, unendomi a chi già da anni serve la Chiesa con silenzioso impegno e in umiltà, dai confratelli nell’episcopato agli uomini e donne consacrati, provenienti da tutte le parti del mondo, e ai fedeli laici per promuovere la pace, consolare gli afflitti, soprattutto i terremotati, dare speranza ai giovani, e servire nella carità i rifugiati.

Il viaggio continua e io, facendo leva sulle potenzialità della Chiesa di Turchia sperimentate soprattutto durante il terremoto e nel periodo successivo, continuo ad affidarmi alla Sua santa Provvidenza.

Abramo ha viaggiato da Ur dei Caldei all’attuale Harran in Turchia; San Paolo ha misurato a piedi, per così dire, tutti i monti e i fiumi dell’Anatolia e non solo; il Discepolo amato ha preso con sé la Madre di Dio portandola a Efeso… E tu, caro fratello o cara sorella, che ti trovi su questa pagina di Amici del Medio Oriente, cosa stai cercando? Dove vuoi viaggiare? Rumî ti avrebbe inviato dicendoti:

«Vieni, vieni; chiunque tu sia, vieni.

Sei un pagano, un idolatra, un ateo? Vieni!

La nostra casa non è un luogo di disperazione,

e anche se hai tradito cento volte una promessa... vieni».

E io aggiungo: vieni nella nostra terra, in cui si apre e si chiude la Bibbia, a riscoprire insieme le tue vere radici. Non vorrai più ripartire, e se per caso partirai, a Dio piacendo ci ritornerai… com’è stato per me!