Bayādir

Bayādir

Bayādir,  بيادر, plurale di baydarبيدر (aia, in arabo), dove viene separato il grano dalla pula. Dove il contadino raccoglie la sua fatica dopo mesi di attesa e di speranza che Dio mandi la pioggia. Dove nei villaggi di campagna i bambini giocano al sicuro perché è un terreno piano e protetto. Dove i giovani gareggiano sfidandosi per testare chi è il più forte o il più atletico. Il baydar è un luogo di incontro e di raccolta di beni. Bayādir è anche il titolo di questa rubrica a cura dei nostri amici della comunità di Deir Mar Musa

UNITI

Jihad Youssef

Nella Siria finalmente libera dal regime tiranno, si celebra anche quest’anno la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani o, come preferiamo dire noi semplici, con tutto il rispetto per i teologi, per l’unità della Chiesa. Sì, noi semplici preferiamo così, perché ci pensiamo come un’unica variopinta famiglia. Una famiglia che permane divisa e questo non può che farci soffrire. Come possiamo essere costruttori di pace credibili ed efficaci nel mondo, quando in famiglia ci sono figli divisi, anzi, alle volte molto divisi?

Anche in questa Siria di oggi, che spera di rinnovarsi profondamente, c’è molto bisogno di unità. Tutti i siriani hanno subito ingiustizie e oppressione per più di cinquant’anni. Alcuni hanno scelto di cavalcare l’onda del potere per ottenere qualche beneficio per sé. Ma ciò non toglie che tutti stavamo in una palude inquinata.

Per quale unità pregheremo quest’anno?

Ritengo che neppure quest’anno saremo capaci di realizzare l’unità tanto desiderata tra noi cristiani.

Forse però, potremmo cercare di incarnare un altro tipo di unità, quella sociale e politica. Se ancora non arriveremo a celebrare insieme l’Eucaristia, perché allora non riunirci in un sinodo e cercare insieme una visione condivisa per il futuro della nuova Siria che tutti sogniamo? Potremo così prepararci per la Conferenza nazionale, contribuendo con una proposta che abbia un respiro plurale. Potremo porgere la mano a tutti i componenti del tavolo per lavorare insieme per il bene del paese e così scrivere una Costituzione nella quale tutti si riconoscano cittadini a pieno titolo.

La Siria è un mosaico di etnie, lingue, culture e religioni, composto da multiformi tessere, assai diverse tra loro. La componente cristiana potrebbe fungere da malta che cementa le tessere. Detto in termini evangelici, potremmo essere lievito e sale. Questa avrebbe dovuto essere la nostra missione durante i tredici anni di guerra, ma purtroppo la paura e la mancanza di fiducia ci hanno bloccati. Nonostante questo, tanti cristiani sono riusciti in vari modi, con la grazia di Dio, a portare avanti questa missione. Ma è indubbio che il bisogno era più grande della nostra capacità di rispondergli. Questi fratelli e sorelle hanno «salvato la faccia» della Chiesa in Siria. Siano benedetti!

Un cristiano non può accettare di vivere bene in uno Stato che riempie le carceri di innocenti e li tortura sistematicamente seminando terrore per controllare la società. Il battezzato non può accettare che la sua sicurezza sia basata sull’ingiustizia inflitta agli altri.

Nella tribolazione nessuno ci proteggerà da fuori. L’Occidente non ci ha protetto, né mai ci proteggerà. Basta guardare Gaza. Come cristiani dovremo impegnarci non soltanto per vedere riconosciuti i nostri diritti, ma anche per costruire uno Stato di diritto che affermi e tuteli il rispetto di ogni persona umana — con le sue varie appartenenze e non a prescindere da esse — e il valore del lavoro, assolutamente necessario per risollevare il paese dalle ceneri.

Oggi la Siria ha bisogno di riconciliazione, di rielaborare il lutto e di parlare del suo dolore. I suoi figli e figlie hanno bisogno di condividere le loro storie e le loro sofferenze per poter perdonare, e magari poter ammettere i propri errori per poter essere perdonati. Se prima non c’eravamo riusciti ad essere un solo popolo unito, ora lo possiamo diventare. Non perderemo l’occasione.