Nella Siria finalmente libera dal regime tiranno, si celebra anche quest’anno la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani o, come preferiamo dire noi semplici, con tutto il rispetto per i teologi, per l’unità della Chiesa. Sì, noi semplici preferiamo così, perché ci pensiamo come un’unica variopinta famiglia. Una famiglia che permane divisa e questo non può che farci soffrire. Come possiamo essere costruttori di pace credibili ed efficaci nel mondo, quando in famiglia ci sono figli divisi, anzi, alle volte molto divisi?
Anche in questa Siria di oggi, che spera di rinnovarsi profondamente, c’è molto bisogno di unità. Tutti i siriani hanno subito ingiustizie e oppressione per più di cinquant’anni. Alcuni hanno scelto di cavalcare l’onda del potere per ottenere qualche beneficio per sé. Ma ciò non toglie che tutti stavamo in una palude inquinata.
Per quale unità pregheremo quest’anno?
Ritengo che neppure quest’anno saremo capaci di realizzare l’unità tanto desiderata tra noi cristiani.
Forse però, potremmo cercare di incarnare un altro tipo di unità, quella sociale e politica. Se ancora non arriveremo a celebrare insieme l’Eucaristia, perché allora non riunirci in un sinodo e cercare insieme una visione condivisa per il futuro della nuova Siria che tutti sogniamo? Potremo così prepararci per la Conferenza nazionale, contribuendo con una proposta che abbia un respiro plurale. Potremo porgere la mano a tutti i componenti del tavolo per lavorare insieme per il bene del paese e così scrivere una Costituzione nella quale tutti si riconoscano cittadini a pieno titolo.
La Siria è un mosaico di etnie, lingue, culture e religioni, composto da multiformi tessere, assai diverse tra loro. La componente cristiana potrebbe fungere da malta che cementa le tessere. Detto in termini evangelici, potremmo essere lievito e sale. Questa avrebbe dovuto essere la nostra missione durante i tredici anni di guerra, ma purtroppo la paura e la mancanza di fiducia ci hanno bloccati. Nonostante questo, tanti cristiani sono riusciti in vari modi, con la grazia di Dio, a portare avanti questa missione. Ma è indubbio che il bisogno era più grande della nostra capacità di rispondergli. Questi fratelli e sorelle hanno «salvato la faccia» della Chiesa in Siria. Siano benedetti!
Un cristiano non può accettare di vivere bene in uno Stato che riempie le carceri di innocenti e li tortura sistematicamente seminando terrore per controllare la società. Il battezzato non può accettare che la sua sicurezza sia basata sull’ingiustizia inflitta agli altri.
Nella tribolazione nessuno ci proteggerà da fuori. L’Occidente non ci ha protetto, né mai ci proteggerà. Basta guardare Gaza. Come cristiani dovremo impegnarci non soltanto per vedere riconosciuti i nostri diritti, ma anche per costruire uno Stato di diritto che affermi e tuteli il rispetto di ogni persona umana — con le sue varie appartenenze e non a prescindere da esse — e il valore del lavoro, assolutamente necessario per risollevare il paese dalle ceneri.
Oggi la Siria ha bisogno di riconciliazione, di rielaborare il lutto e di parlare del suo dolore. I suoi figli e figlie hanno bisogno di condividere le loro storie e le loro sofferenze per poter perdonare, e magari poter ammettere i propri errori per poter essere perdonati. Se prima non c’eravamo riusciti ad essere un solo popolo unito, ora lo possiamo diventare. Non perderemo l’occasione.
Cosa si può dire per iniziare questa rubrica? – Mi sono chiesto…
Questa finestra aperta sul Medio Oriente non può non partire dalla sofferenza in corso.
Il popolo ebraico aveva subito lo sterminio nazista, un genocidio atroce che ha segnato la storia dell’intera umanità per sempre.
Ora la macchina militare dell’occupazione sionista israeliana sta commettendo il genocidio della popolazione palestinese di Gaza. E siccome nessuno interviene se non a parole, la guerra si sta allargando a macchia d’olio in Libano e in Siria, con la giustificazione dell’autodifesa.
Tanti saranno infastiditi o addirittura arrabbiati leggendo queste righe. Accetto che ci sia chi la pensa diversamente.
In questo Medio Oriente, che voi amate e di cui volete essere amici, siamo davvero Fratelli tutti? Tanti non ne sono convinti.
C’è chi vorrebbe buttare in mare tutti gli israeliani, non capendo che così non farebbe altro che alimentare la spirale della violenza, facendo precipitare i palestinesi sempre di più in un inferno di morte. Sì, siamo tutti fratelli, ma la grande catastrofe e vergona della nostra umanità è che i fratelli si uccidono. Basta! Se non ora, quando? Quando finirà questa catena interminabile di vendette? Quando si placherà la sete del sangue altrui?
L’ora è questa. Ora, prima che sia troppo tardi. Ora, c’è da rialzare la testa per dire basta. Ora, c’è da dare dignità a tutte le anime che sono state sacrificate al diavolo dai cuori divisi e pieni di odio.
Noi, a Deir Mar Musa, abbiamo scelto di farlo in due modi.
Il primo è con la preghiera. Siamo stati creati tutti a immagine di Dio. Tutti. Ma la somiglianza con Lui resta un progetto da realizzare. A Mar Musa cerchiamo di farci preghiera, di avvicinarci a Dio per lasciarci trasformare sempre più a Sua somiglianza. Più andiamo verso la Luce, più ci sbarazziamo della nostra opacità. Più ci uniamo a Dio, più ci troveremo uniti tra noi in Dio. Ci vuole coraggio oggi per dire che senza Dio non c’è pace, né prosperità, né gioia, né felicità. No, senza Dio non c’è salvezza. Lungo i secoli abbiamo deformato la Sua immagine e in tanti se ne sono allontanati, spesso a causa degli esempi non credibili di chi si diceva e si dice credente.
Il secondo è l’ospitalità. Ci siamo resi conto che siamo tutti ospiti di Dio, non solo al Monastero, ma in questa vita su questo pianeta. Ospitalità per noi significa fare spazio all’altro in noi stessi, nella nostra preghiera e nel nostro quotidiano. Quando il quotidiano del tuo vicino — dell’ospite che viene verso di te, mandato dal Signore del mondo come dono — diventa il tuo quotidiano, quando ricevi Dio nell’ospite e quando Dio ospita in te lo straniero o il visitatore che ti bussa alla porta, allora l’ospitalità si trasforma in intercessione per tutta la creazione che geme aspettando la trasformazione degli esseri umani e la loro manifestazione come figli di Dio. Vivere insieme salverà il mondo, visitarci farà crollare le barriere, viaggiare allargherà i nostri orizzonti.
La nostra Comunità monastica di al-Khalil, (cioè Abramo l’amico di Dio), è consacrata all’amore di Gesù Cristo per tutti e in modo particolare per i fratelli e le sorelle dell’Islam. In questo amore specifico non possono essere assenti gli ebrei, né alcun altro popolo della terra.
Tutti, se davvero lo vogliamo, possiamo diventare davvero fratelli.
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